mercoledì 25 novembre 2009

GERONTOCRAZIA


L'Italia è una nazione dove le nuove generazioni diminuiscono il proprio peso demografico e comunque non trovano spazio nelle èlite. Infatti il nostro paese invecchia senza ricambio generazionale. Politici, manager e più in generale chi occupa posizioni di prestigio non intende mollare. Questo si traduce in uno svantaggio competitivo per il sitema economico italiano... ma come si potrebbe ovviare a tale problema? La prima riforma, richiesta a gran voce da anni, è la meritocrazia.
Ma come possiamo parlare di meritocrazia in un paese in cui le classi dirigenti sono appannaggio di anziani e/o figli di papà? In questo modo si resta precari (e in famiglia) e la nazione perde gli anni migliori delle menti che ha formato tramite il percorso universitario...chi pensa che ciò potrà rendere competitiva l'Italia?
Il rapporto sul rinnovamento delle classi dirigenti nel nostro paese è stato presentato a Roma pochi mesi fa, realizzato dal Forum nazionale dei giovani in collaborazione con il Cnel.
Da tale rapporto emerge che i giovani non riescono ad affermarsi nel mondo del lavoro e non riescono a distaccarsi dalla propria famiglia prima dei 40 anni. Poiché le classi dirigenti sono occupate da persone di età avanzata, i giovani sono sottoposti a lavoro precario che rende difficile raggiungere posizioni direttive che oggi più che mai necessitano di quella freschezza e di quella elasticità mentale proprie di una generazione cresciuta con internet. In dieci anni, il numero di giovani dipendenti in ruoli dirigenziali è passato dal 9,7% al 6,9%. In calo anche i giovani imprenditori, passati dal 22% al 15% e i liberi professionisti, dal 30% al 22%. I contratti di lavoro precari, quindi, non favoriscono la carriera: difficilmente le collaborazioni si trasformano in contratti a tempo indeterminato. Il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 aveva un contratto di collaborazione, a distanza di un anno era ancora nella stessa posizione. Nell’arco di un anno, solo un collaboratore su dieci è entrato a pieno titolo nel mondo del lavoro propriamente detto ottenendo un contratto a tempo indeterminato.
Tuttavia dal rapporto emerge un altro grave fenomeno in triste ascesa: l’inattività. Tra il 2006 e il 2007 sono cresciuti di 200 mila unità i giovani inattivi, cioè che non lavorano e non cercano lavoro. Oltre 220 mila i giovani che nel 2006 erano occupati e che nel 2007 hanno rinunciato a cercare attivamente un lavoro. Purtroppo gli ultimi dati del 2009 segnalano un aumento di 434 mila unità di questo gruppo.
La mancanza di un futuro li avrà mandati in depressione?...un costo, oltre a quelli sopracittati, da sommare e che si accollerà l'intera società italiana.

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