venerdì 3 aprile 2009

MATTEO: SIAMO TUTTI COINVOLTI!




A due anni di distanza da questa assurda perdita pubblico l'articolo da me scritto allora (il 04/04/2007) per ricordare Matteo perchè ciò che è accaduto non deve più accadere, perchè un ragazzo non può morire a 16 anni, perchè in una società civile siamo tutti coinvolti...
"È il 03/04/07, siamo a Torino, un sedicenne si lancia dal quarto piano di una palazzina residenziale forse perché esasperato dai propri compagni di classe che lo sbeffeggiavano a causa della sua presunta omosessualità. Matteo frequentava l’istituto tecnico Sommeiller, aveva un ottimo rendimento scolastico e viveva con sua madre insieme ad altri due fratelli.
Si suppone che probabilmente coloro che hanno angustiato il giovane non desideravano e non credevano che egli potesse arrivare a compiere tale gesto.
Tuttavia tutti dovrebbero sentirsi moralmente coinvolti quando accade un avvenimento come questo che mette in evidenza un triste fenomeno sociale purtroppo presente anche nella nostra società.
Il termine bullismo è la traduzione letterale della parola inglese bullying, ormai comunemente usata nella letteratura internazionale sull’argomento. Il fenomeno del bullismo indica un comportamento di accanimento di alcuni membri del gruppo verso altri ritenuti più deboli osservato nelle dinamiche sociali fra tori. Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato, quando viene esposto sistematicamente alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Attraverso il termine bullismo non ci si riferisce a una situazione statica in cui c’è qualcuno che aggredisce e qualcun altro che subisce, ma a un processo dinamico in cui persecutori e vittime sono entrambi coinvolti.
Lo studio pionieristico di Dan Olweus (1993) condotto in Norvegia, evidenziò che il fenomeno colpiva il 10,6% degli studenti di scuole elementari e medie coinvolgendo in totale il 15% di quella popolazione scolastica (comprendendo così anche gli aguzzini (i bulli) e coloro che appartengono a una “classe mista” che prevarica e viene prevaricata). Uno studio simile mise in evidenza che la percentuale relativa a tale fenomeno era in Inghilterra del 27%, generando un grosso scandalo. Purtroppo gli studi relativi a tale fenomeno in Italia hanno rilevato una situazione in cui il fenomeno assume valori che oscillano dal 32% al nord progredendo gradualmente fino al 54% al sud.
Il fenomeno del bullismo si presenta in Italia con percentuali di incidenza notevolmente più elevate rispetto agli altri paesi d’Europa in cui sono stati condotti questo genere di studi: quasi triple rispetto alla Norvegia e quasi doppie rispetto all’Inghilterra.
Senza contare che purtroppo meccanismi psichici come l’identificazione con l’aggressore e la vergogna provata dalle vittime inibiscono la denuncia delle prevaricazioni subite incrementando il numero oscuro: purtroppo quasi certamente il numero effettivo del fenomeno bullismo è superiore a quello registrato attraverso le indagini statistiche!
Questi dati – indubbiamente allarmanti – indicano che esiste una correlazione culturale in base alla quale nel nostro paese siamo forse meno sensibili a tali fenomeni e spesso preferiamo far finta di non vedere. Oggi è aumentata la sensibilità verso questo genere di problemi e si tenta di porre un rimedio a questo fenomeno anche se viene purtroppo osservato che esso è presente anche gra gli adulti nel mondo del lavoro (il mobbing). Dinamiche di prevaricazione e vessazione invadono in forme subdole e più o meno marcate le società occidentali estendendosi dall’infanzia fino all’età adulta.
Tuttavia un suicidio è qualcosa di più, qualcosa di misterioso e mai comprensibile completamente per cui è giusto riflettere su di esso con tatto, delicatezza e prudenza. Dobbiamo appellarci a una misteriosità della persona e della sua mente che ci ricorda la complessità dei fatti emotivi: cosa fa scattare la molla del meccanismo psichico in base al quale un adolescente prende tale decisione? Probabilmente, oltre alle vessazioni, la situazione familiare e la peculiare sensibilità di Matteo lo mettevano nella condizione di non riuscire a difendersi, di essere più fragile dei suoi compagni di classe e forse di avere più bisogno di aiuto.
Nonostante tale appello non comprendo l’affermazione di generale inspiegabilità poiché in una lettera di scuse alla sua famiglia, Matteo accusa i suoi aguzzini di persecuzione precisando che ha deciso di compiere tale gesto perché «non ce la faceva più…». Le vessazioni protratte nel tempo hanno scavato un solco nella condizione psichica di un adolescente che era già appesantito dal fardello di una non facile situazione familiare.
Si potrà obiettare che tali vessazioni toccano in sorte a molti studenti che non si suicidano, tuttavia qualora fosse anche così lo Stato (che è rappresentato dalla scuola) non dovrebbe tollerare tali comportamenti come troppo spesso accade. Inoltre, non essendo possibile evitare l’accadere di questi spiacevoli avvenimenti, le istituzioni scolastiche dovrebbero accogliere con maggiore sollecitazione le richieste d’aiuto che emergono dalle vittime di queste dinamiche.
Matteo aveva chiesto aiuto a sua madre e alle insegnanti ma le sue richieste non furono tenute nella giusta considerazione dalle istituzioni scolastiche. Quali provvedimenti sono stati presi verso coloro che compivano tali vessazioni? Cosa è stato fatto una volta appurato che esse continuavano a verificarsi? Si può immaginare lo stato emotivo di una persona sensibile, già debilitata dalla precaria situazione familiare, che si rende conto che la nostra società legittima le vessazioni che subiva non punendo i responsabili, coloro cioè che agiscono tali comportamenti.
La preside e gli insegnanti asseriscono che Matteo non abbia inviato messaggi di disagio e richieste d’aiuto che potessero far pensare all’intenzione di commettere tale gesto. L’impressione è che, anche se in buona fede, non si sia preso in giusta considerazione ciò che accadeva nonostante ci sia comunque stato un impegno e un’attenzione di alcuni insegnanti e dei dirigenti scolastici.
Riporto ciò che è stato dichiarato dal corpo insegnanti sulle reti nazionali:
1) Matteo è stato visto piangere in corridoio e ha raccontato a una insegnante delle sevizie subite;
2) Matteo si è confidato con la madre che ha richiesto l’aiuto della scuola come istituzione;
3) Matteo ha minacciato di smettere gli studi poiché non sopportava più tale situazione e, dopo l’abbandono, una professoressa l’aveva convinto a tornare a frequentare la scuola.
Quale gesto avrebbe dovuto compiere per rendere tali vessazioni visibili? …Purtroppo tale gesto, il più estremo, è stato compiuto. Mi chiedo se solo adesso sia visibile tale disagio?
Questo caso è emblematico perché evidenzia che nonostante siano stati mandati dei messaggi di forte disagio non si sia riusciti – come società – ad accoglierli e a rispondere a essi. Non si è riusciti a rispondere alle richieste d’aiuto di Matteo e di sua madre e questo dovrebbe farci sentire tutti un po’ appesantiti. All’istituto Sommeiller evidenziano la presenza di un team di psicologi a disposizione degli studenti, cosa per altro inutile se al ragazzo non è stata segnalata questa possibilità e non si è provato a offrirgli un sostegno tramite questi professionisti.
Non so se esistano soluzioni definitive a questo triste fenomeno, tuttavia, dovremo trovare il coraggio di affermare che fra i compiti della scuola rientra quello di insegnare ad accogliere gli altri per quello che sono, nella loro unicità e diversità. Insegnare un alfabeto delle emozioni e della convivenza civile improntato sul rispetto e sul rigetto delle prevaricazioni: perché quando un adolescente si uccide in questo modo e per tali motivazioni dobbiamo sentirci tutti coinvolti.
Per questo motivo è importante aprire tavole rotonde, discutere e sensibilizzare riguardo questo triste fenomeno (il bullismo nelle scuole). La prevaricazione è un aspetto molto presente nella nostra cultura e questo potrebbe essere uno dei modi per spezzare le catene di tali dinamiche. È auspicabile una risposta forte, da parte dello Stato, che sottolinei la volontà della società civile di bloccare vessazioni e prevaricazioni a partire dai luoghi in cui vengono formati gli adulti di domani.
La società civile deve affermare il rispetto per la persona a cominciare dalla scuola, dove si dovrebbe affermare con più severità che lo Stato non tollera certi comportamenti e che coloro che li compiono sistematicamente devono essere indirizzati verso strutture che li mettano nella condizione di non essere nocivi per sé stessi e per gli altri.
L’indignazione che mi ha spinto a scrivere questo articolo nasce dall’opinione personale che questa morte fosse evitabile. Il mio obiettivo non è quello di creare una polemica puntando il dito contro il capro espiatorio di turno negando un problema culturale con cui ritengo che la società e lo Stato dovrebbero confrontarsi con l’obiettivo di fornire una risposta più efficace.
Se, in seguito all'effettuazione di progetti di classe con l'obiettivo di ridurre il disagio psichico promuovendo delle dinamiche relazionali sane, si riuscisse ad agganciare il ragazzo isolato o che presenta disagio si potrebbe tentare di supportarlo al fine di rafforzare le sue capacità di difesa dagli attacchi dei compagni, di far fronte alle situazioni e di elaborare i problemi personali e scolastici attraverso soluzioni più originali e adattative.
Ovviamente è importante considerare che il problema non è esclusivamente delle vittime poiché i segni del disagio dei cosiddetti bulli sono evidenti nelle loro condotte. Queste condotte così aggressive estrinsecano un forte disagio e, nonostante la prospettiva di un aumento dei costi per la prevenzione del disagio giovanile nelle scuole, sarebbe auspicabile considerare anche questi ultimi come soggetti bisognosi di aiuto e supporto.
Resta soltanto una vita così giovane e incompiuta, credo che la nostra società perda con Matteo una risorsa importante: una persona sensibile. Persone di cui forse è carente.

CAMPOFILONI ERMES"

Non ho mai conosciuto personalmente e direttamente Matteo ma rimasi molto colpito dalla cronaca mediatica di tale avvenimento. In seguito, sei mesi dopo questo tragico evento mi sono laureato in psicologia discutendo la tesi, e a marzo 2008 ho iniziato a effettuare il tirocinio annuale in un servizio di prevenzione del disagio giovanile e promozione della salute partecipando anche a lavori coi gruppi classe che avevano l'obiettivo di ridurre gli effetti - ove presenti - del bullismo per evitare che dinamiche possano avere esiti così disastrosi. Terminato il tirocinio ho ora intenzione di occuparmi - fra le altre cose - di prevenzione del bullismo nelle scuole e sto elaborando dei progetti ad hoc sulla mia esperienza col fine di occuparmi di queste cose come lavoro.
Mi piacerebbe occuparmi di questo nella vita per migliorare la risposta professionale a questo genere di problemi. per rendere più efficace l'intervento su questo genere di problematiche. Sto perciò tentando di condurre uno studio che spero di poter pubblicare al più presto, tuttavia mi piacerebbe intervistare la madre di Matteo per somministrarle un questionario di dieci domande circa il tragico evento. A lei vanno le mie più sincere condoglianze e a tutti i lettori il mio appello affinchè nel caso qualcuno la conosca possa recapitare il mio invito mettendomi in contatto con un familiare.
L'obiettivo è che ciò che è accaduto non si verifichi mai più:
CI MANCHI MATTEO, MANCHI A QUESTA SOCIETA', OVUNQUE TU SIA...

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